Luis Enriquez, 20 anni: “Ad ogni video in cui mi si vede in faccia corrispondono centinaia di insulti sul colore della mia pelle.
Mi chiedono: ‘Ma come mai ogni tanto compare un negro nel video?’”
Ha 20 anni e vive in Italia, in Umbria, da quando ne aveva quattro. Quando sui giornali legge di episodi di razzismo scuote la testa ma non si meraviglia. Non si meraviglia più, ormai, Luis Enriquez Aracena Cabrera, un diploma all’istituto tecnico economico e la passione per l’informatica, che ha cominciato ad imparare da autodidatta quando aveva undici anni.
È originario della Repubblica Dominicana ma si sente a pieno titolo italiano.
Nel 2015 ha aperto un canale su YouTube, perché uno dei suoi sogni è quello di diventare videomaker. Lo ha fatto dopo aver sviluppato un videogioco da capo a fondo. “Ho voluto cimentarmi in questo mondo – racconta -, così ho cominciato a fare video di gaming e anche qualche vlog “.
L’inizio di una modesta popolarità, che l’ha portato a superare quota cinquantamila iscritti, è stato con l’uscita del videogioco Pokémon Go. Un suo video (quello in cui parlava dei personaggi più rari) era diventato virale e in molti avevano cominciato a seguirlo.
A quel punto, però, invece che aprirsi per Luis una finestra di orgoglio e di popolarità, è iniziato un periodo difficile. “Un periodo di odio e di razzismo in cui sono caduto a piedi pari”, spiega. Il ventenne, in alcuni video, metteva la faccia. Parlava di fronte alla telecamera senza paura, perché per lui (come dovrebbe essere per tutti) il colore della pelle è solo un dettaglio. Invece è diventato bersaglio degli insulti più spregevoli. Solo perché, come molti altri, seguiva una passione senza mai arrendersi.
Dice che ad ogni video in cui si mostra gli chiedono: ‘Ma come mai ogni tanto compare un negro nel video?’. All’inizio rimanevo incredulo, non riuscivo a spiegarmi il motivo di tanta cattiveria”.
Per il ventenne che vive in Umbria con la sua famiglia (sua madre e suo padre lavorano, sua sorella ha dodici anni, studia e anche lei a casa dice di essere bersaglio di insulti razzisti) le conclusioni sono amarissime. “Quelli che ricevo sono commenti spregevoli. Ma la conclusione è che forse dovrei abituarmici. Non ne farei una ragione di cattiveria, ma di un’educazione sbagliata che proviene dalle famiglie. A insultarmi, spesso, sono bambini di otto, nove anni. Questo cosa significa? Che gli insulti vengono da loro? Ognuno si dia una risposta dentro di sé”.
Le risposte che Luis ha smesso di darsi, quelle che vorrebbe gridare a tutti ma che non ha, mentre senza arrendersi continua a correre per raggiungere il sogno di un mondo con meno pregiudizi.